mercoledì 28 agosto 2013

La cosa a cui tengo di più è la libertà da qualunque costrizione

Abbiamo tutti troppe cose, sono sicura che vivremmo meglio con meno oggetti e parlando di denaro attribuisco il valore del semplice strumento. Nessun altro. 

Mi sono accorta che serve poco per vivere. Quasi tutto quello che faccio, quello che mi interessa e fa parte della mia vita, costa poco. Non mi servono macchine ultimo modello, case a Cortina, vestiti alla moda, non ho bisogno di alcun oggetto particolare per essere felice. 

La cosa a cui tengo di più è la libertà da qualunque costrizione, sono sempre stata così.
Amo poter perdere tempo, poter perdere tempo con mio nipote, mia sorella, con mia mamma e mio papà, amo poter fare due passi di danza con mio marito così senza un perché, e stare con gli amici veri.

Questo tuttavia non è il mondo dei sogni. Si può sognare stando nel mondo così com’è, come cerco di fare, come fanno molti. Per questo quasi tutto quello che faccio con passione è in vendita.

Vendo i miei lavori di pittura, vendo le mie torte, i miei biscotti, un giorno forse affitterò casa, vendo quel che so fare, cucinare e dipingere e poi ogni tanto scrivo. Se non mi servissero per vivere, non vorrei soldi per quel che so fare. Regalerei e inviterei tutti gratis. Chi mi conosce lo sa. 
Se avrò fortuna lo farò.

Però sono orgogliosa di questo schema di vita. Non provo alcun rimorso o vergogna. Vergogna la deve provare chi sostituisce la gioia vera con quella fittizia del consumismo, chi non si emoziona per una frase scritta su un libro o chi non ascolta. Vendere quello che so fare per essere libera è una bella storia. Più bella di quando lavoravo, guadagnavo, avevo un ruolo sociale più definito. Quella vita mi piaceva, ma non ero libera e poi la conoscevo troppo.

Una delle cose che dico a tutti è: “Devi festeggiare un avvenimento importante? oppure devi dipingere qualcosa? Chiedi un preventivo. Io ti organizzo un aperitivo, un una cena in terrazzo, un tea party in un giardino, un picnic in riva a un fiume sarà tutto sorprendentemente magico e pieno di poesia e per quanto riguarda la pittura ti dipingo per la metà”. A me che un prezzo sia alto o basso, giusto o ingiusto, non mi interessa. Non mi devo arricchire. Mentre cucino e mentre dipingo penso molto, e dunque sto bene. Faccio i miei lavori con calma, e cerco di farli bene. Se qualcuno risparmia il cinquanta per cento e io guadagno qualcosa, va bene così. E’ una nuova economia. Tempo contro denaro. E vince sempre il tempo. Cioè la vita vera.

L’unica certezza della nostra esistenza è che moriremo e questo dovrebbe essere il più potente motore per darci la carica. Sul resto si può discutere. Dovremmo temere solo questo appuntamento fatale, e invece siamo pervasi dalla paura di sconvolgere il nostro provvisorio equilibrio. Dovremmo apprezzare quel che c’è, perseguire la conoscenza, accumulare esperienze, cercare l’equilibrio interiore e l’armonia, godere di noi stessi e delle relazioni con gli altri… e invece no. L’unica cosa che non torna indietro è il tempo e noi lo sprechiamo tra paure e incombenze inautentiche. Lo riempiamo, non lo utilizziamo. Lo schema fisso che tutti seguiamo (lavorare, consumare, sprecare) è un rimedio alla paura di morire: teniamo occupata la mente per non pensarci.

Contro la paura, bisogna scoprire che si può vivere con poco, oltre lo schema "lavoro, guadagno, spendo".

Le paure diffuse sono tante, e si tratta di sentimenti comprensibili. Ci siamo attrezzati per affrontare un certo tipo di vita, adeguandoci a uno schema preciso, senza alzate d’ingegno, senza grilli per la testa, senza creatività. Non siamo una generazione di innovatori ma di esecutori, un po’ come questa non è un’epoca di invenzioni ma di applicazione di invenzioni precedenti. Il salto innovativo è stato fatto decenni fa con il computer; ora lo si deve far lavorare, trovando il modo di sfruttarlo al meglio. Lo stesso è avvenuto sul piano sociale. L’innovazione è stata il benessere diffuso, sorretto dal consumo. Ora bisogna pigiare al massimo su quell’acceleratore. Non c’è un’ipotesi alternativa. Tant’è che nessun politico immagina una vita diversa. Anche la sinistra è preoccupata del calo dei consumi.

Neppure la paura più ancestrale, quella di morire di fame, può ritenersi fondata. Oggi di fame da questa parte del globo "nessuno muore". Le altre sono tutte remore psicologiche, dettate dall’insicurezza e dalla caducità delle speranze. Spesso le paure si presentano associate in un cocktail che immobilizza. 
Il loro effetto principale è che ci impietriscono. Quando riescono a bloccarci, costringendoci a fare ogni giorno le cose di sempre, senza idee, senza cambiare mai, il loro obiettivo è raggiunto. Non sto parlando del timore che ci assale quando dobbiamo attraversare un ponte pericolante. In quel caso si tratta di buon senso: se il ponte dovesse cedere, cadremmo nel vuoto e moriremmo. Le paure del cambiamento non sono così. Se provo, comunque, non muoio. Anzi, se provo morirò comunque, come è scritto, ma non ora. Dunque perché non tentare? Perché non tentare almeno parzialmente, trovando una via intermedia, saggiando il terreno in modo graduale?

Ecco che la paura comincia a cedere. Un po’ come quando proviamo ad assaggiare sulla punta della lingua una pietanza che temiamo non ci piaccia. Quella convinzione ci immobilizza, ma se facciamo almeno il gesto di provare, la paura scricchiola, la pietanza potrebbe piacerci, l’immobilità potrebbe sciogliersi in un progresso. Per me è andata così. Fatto qualche passo, il mio ponte si è rivelato più solido del previsto e l’ho attraversato. Non solo. Dopo anni che vivo “dall’altra parte del fiume” non sono ancora morta, e non ho progetti imminenti a riguardo. “Di là dal fiume e tra gli alberi” la vita è anche difficile, anche dura, ma dà molto senso alla mia vita averci provato. Morirò anche io, certo, ma senza alcun rimpianto verso le scelte di vita che ho avuto a disposizione. Forse, per questo, morirò di meno.

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