lunedì 29 dicembre 2014

Per molti anni ho viaggiato soltanto per me stessa

Per molti anni ho viaggiato soltanto per me stessa. Mi rifiutavo di scrivere dei miei viaggi e anche programmarli con qualche obbiettivo utile. Molti mi chiedevano come mai o quale ricerca mi avesse portato in Malesia, Nepal ecc. perché ovviamente nessuno sarebbe andato in quei luoghi per semplice divertimento. Io sì.
Provavo un vero bisogno di ringiovanimento, di esperienze che mi allontanassero dalle cose che ero solita fare, dalla vita che conducevo normalmente. Nella vita di tutti i giorni provavo spesso una consapevolezza soffocante dello scopo insito in tutto ciò che facevo.

Ogni libro che leggevo, ogni film che vedevo, ogni pranzo e ogni cena cui prendevo parte, sembravano avere sempre una ragione. Di tanto in tanto sentivo il bisogno imperioso di fare qualcosa per nessun motivo. Concepivo questi viaggi come delle vacanze, come tregue nel corso della mia vita, ma poi non si rivelavano tali.

Mi resi conto, alla fine, che molti dei miei cambiamenti nella mia vita erano avvenuti grazie alle mie esperienze di viaggi. Perché, per quanto addomesticati rispetto alle escursioni di veri avventurieri, per me questi viaggi erano autentiche avventure.
Ho lottato con le mie paure e i miei limiti e ho imparato quello che ero in grado di imparare. Ma con il passare del tempo, il fatto di nn avere mai scritto sui miei viaggi cominciò stranamente a pesarmi...l'assimilazione di esperienze importanti ti obbliga quasi a scriverne. Attraverso lo scrivere ti appropri dell'esperienza, indaghi sul significato che ha per te, giungi a possederla e alla fine, metterla a disposizione degli altri.

Scrivere è poi un viaggio interiore che fa da completamento a quello esteriore, benché la distanza tra la sensazione interiore e uno stimolo esterno spesso non è chiara alla mente. Ma il tentativo di districare le mie percezioni è utile. Ho spesso la sensazione di andare in qualche luogo lontano per ricordarmi chi sono veramente. Non è un mistero perché debba essere così. Spogliata di ciò che ti circonda normalmente, i tuoi parenti, i tuoi amici, le tue abitudini quotidiane, il tuo cibo nel frigorifero, i tuoi vestiti nell'armadio: senza tutto questo sei obbligata a fare un'esperienza diretta. È attraverso tale esperienza diretta che ti rendi conto inevitabilmente di chi sei tu che la stai vivendo. Non sarà comodo, ma viaggiare ti rafforza sempre.

Alla fine mi accorsi che l'esperienza diretta è l'esperienza di maggior valore che si possa fare. L'uomo occidentale è talmente circondato da idee e bombardato da opinioni, concetti e strutture di informazione di ogni tipo, che diventa difficile fare esperienza di qualsiasi cosa senza il filtro di queste strutture. Il mondo naturale...la nostra fonte tradizionale di comprensione diretta...sta scomparendo rapidamente. Nelle città moderne ormai non si possono nemmeno vedere le stelle.

Non è sorprendente che l'uomo abbia perso l'orientamento, che abbia perso le tracce di chi sia veramente e di cosa sia davvero la sua vita.

Viaggiare, quindi, mi ha aiutato a fare esperienze dirette. E a concedermi di più.

domenica 28 dicembre 2014

Il Monte Kailas la Montagna degli Dei

Conosci la "Gemma delle Nevi" il Monte Kailas la Montagna degli Dei.
Si erge a picco sulle zone desertiche del Tibet Occidentale.


La prima volta che la vidi era il 1984, in un documentario.
Era una vista da togliere il fiato. I racconti che ne avevo sentito non le rendevano giustizia; tuttavia più della montagna stessa, a tenermi incollata allo schermo furono i pellegrini che andavano verso di essa con una spinta di devozione davvero incredibile e sincera.
Tra di loro c'era anche un indù, con una gamba sola che appoggiandosi a una canna era partito da Calcutta ed era per strada da vent'anni.
Un passo dietro l'altro si era arrampicato sull'himalaya e si trovava ormai a 5000 metri. Ma non era l'unico elemento straordinario. C'erano persone anch'essi in viaggio da vent'anni che giungevano dal Tibet orientale strisciando letteralmente sul terreno.

La cosa più strana e davvero singolare era che nel bel mezzo della standardizzazione incessante e l'irresistibile avanzare dei tempi moderni, vedere la determinazione e la sopravvivenza di persone talmente concentrate sulla vita futura delle loro anime da impegnare tutta l'esistenza nel cammino verso il monte Kailas senza un secondo fine mi fece crescere delle domande.

Tutte queste persone: l'indù con una gamba sola e i pellegrini tibetani che procedevano sul ventre lungo il tortuoso sentiero non erano asceti del clero, ma gente semplice. Quale forza magnetica esercitava su di essi il Kailas?

Decisamente dovevo vedere quella montagna con i miei occhi.
Il problema era ottenere l'indispensabile permesso speciale.
Politicamente è fisicamente, l'interno del Tibet occidentale era il luogo più inaccessibile al mondo.

L'occasione arrivò nel luglio 1990.
Un mio grandissimo amico il mio migliore amico in realtà mi aveva chiesto di sposarlo e la cosa più incredibile era che io avevo accettato, ma in cambio gli chiesi il tetto del mondo e con una buona dose di persuasione riuscii a programmare il viaggio con il mio neo maritino...
sapevo che l'8 giugno di quell'anno cadeva, il Saga Dawa, la festa del 15°giorno del quarto mese del calendario tibetano che ricorda la nascita del Buddha, il giorno della morte e dell'illuminazione.
Secondo il calendario cinese era l'anno del cavallo e compiere il pellegrinaggio al Kailas nel periodo prossimo al Saga Dawa nell'anno del cavallo che cade ogni 12 anni significava acquisire il massimo dei meriti.

Il piano prevedeva di incontrare prima la nostra guida a katmandu, uno sherpa molto simpatico, preparato e affabile e poi dopo tre giorni proseguire insieme con delle guide tibetane che ci avrebbero aiutato nel passaggio di frontiera.
Ma evidentemente insorsero dei problemi. L'interprete tibetano doveva aver detto qualcosa che aveva irritato la guardia di confine cinese e questa, improvvisamente, aveva chiuso il passo e se ne era andata, lasciandoci bloccati a Zangmu.

Il mio sogno si sgretolò a pochi giorni di cammino.
Rimasi a contemplare quella strada e mi sembrò di cogliere un po' dell'estasi religiosa che coglie i pellegrini quando arrivati vicini al monte si rivela in tutta la sua grandiosità distaccata.
Un pellegrinaggio lungo, arduo e pieno di preghiera.
"I peccati sono lavati alla vista dell'himalaya". Dice un antico proverbio.
E grazie a ripetute penitenze sperano di purificarsi dai peccati e di rinascere come esseri umani, continuando in tal modo di accumulare meriti in vista dello scopo ultimo: la liberazione dell'attaccamento mondano.

Il Kailas, centro dell'universo secondo la credenza popolare, accoglie un flusso incessante di pellegrini, i quali adempiono osservanze religiose che rinnovano la vita, la purificano.

Al culmine di un viaggio arduo, ho avuto la fortuna di vedere proprio con i miei occhi qualcosa di quello che succede lassù ma non sono stata trovata pronta per arrivare alla vetta.
Ma ricordo come fosse adesso che alzando gli occhi al cielo vidi fluttuare le formule magiche dei drappi votivi colorati che garrivano al vento insieme alle aquile, segno che le preghiere stavano salendo verso gli dèi.

Con i volti radiosi ripartimmo incamminandoci passo dopo passo nel sentiero della vita più consapevoli e più pieni di verità.


Una splendida avventura la vita!!!  Namasté