sabato 18 luglio 2015

Milano

Milano o la ami o la odi... Io la amo. Follemente. Ma per amarla e capirla, non basta esserci nati, bisogna essere un po' "milanesi inside", milanesi dentro. Cioè naturalmente predisposti alla velocità e alla fretta, un po' nevrotici, in movimento perpetuo, con gli occhi e le antenne drizzate 24 ore su 24, 7 giorni su 7, facili alla noia, affamati di novità, dotati di volontà e nervi saldissimi. Se resisti senza mollare, allora questa città ti accoglie, ti ri-ama con trasporto autentico. E ti fa crescere. Perché Milano è meritocratica e materna, a modo suo come le mamme che la abitano, con poche forme convesse e molto senso pratico. 

Non ho sempre amato la mia città, come tutti penso, ma ci sono sempre stata bene, ho ricordi della mia infanzia bellissimi pieni di libertà benché vivessi in città, ma quando anni fa mi affacciai nel mondo del lavoro desiderosa di entrare in quell'ambiente ostico e fascinoso che era l'editoria, Milano mi sembrava ancora più bella. Le case basse affacciate e riflesse sullo specchio d'acqua scuro dei Navigli, lo scorcio poetico delle colonne di San Lorenzo, l'acciottolato pieno di balconcini fioriti e di bistrot di Brera, il viavai di studenti nei cortili magnifici della Statale, le vetrine scintillanti di Montenapoleone. Mi sentivo e mi sento ancora oggi, ogni volta che mi capita di poter perderci qualche ora, ubriaca di libertà e frenesia, non capisco quello che molti dicono su Milano e i milanesi - che pensano solo a lavorare, che ridono poco e se la tirano molto - non penso sia vero, forse non per tutto. Forse all'inizio può sembrare così. Questa città è come i suoi abitanti: si disvéla lentamente. Bisogna avere pazienza per farsela amica. Ma poi, ha grande cuore. 

Milano la scopri poco a poco come dicevo e nei miei primi passi da ragazza quando mi affacciavo al mondo sono stati pieni di scoperte e stupori. Il metrò all'ora di punta; le case di 25 mq. propinate come occasioni "da non perdere", il lavaggio delle strade una volta a settimana, i parcheggi selvaggi e le multe vissute come ineluttabile fatalità, la città chiusa per ferie durante gli esodi estivi e le vie che si svuotavano nel weekend. Il sushi a pranzo e a cena, gli aperitivi, il Bloody Mary tracannato come Coca Cola, il pane arabo e quello di Altamura, perché la michetta non si trova più. E poi le zanzare tigre, a sciami, peggio di Saigon. Infaticabili, voraci resistenti a tutto, ormai penso si cibino di Autan. 

La prima volta che davvero mi sono sentita milanese, più di qualsiasi signor Colombo o Brambilla, non che non lo sia, sono nata qui, ma è il senso di appartenenza che improvvisamente arriva, è stato un giorno di ritorno da una vacanza alla Stazione centrale. La fine di un tipico agosto senz'anima viva. "Sono a casa", ho pensato. E mai più di allora ho provato un senso di pace. Una sensazione inaspettata per me che ho amato-odiato questa città come si fa coi fidanzatini che "ci sanno fare". Perdendola di vista per un po' inchiodata a certi orari di lavoro non stop. E rinunciando orgogliosamente a frequentarla negli anni in cui perdeva lentamente la sua verve, diventando la più anonima e grigia delle capitali europee, attanagliata dagli scandali politici e involgarita dall'invasione dei reality e dei nuovi parvenu.

Poi un giorno mi sono ripresa la mia vita e sono tornata a rivedere la mia città e Milano -sorpresa!- era tornata. Elettrica, eclettica, vivace cosmopolita. Un pullulare di nuovi locali, gente per le strade, una strana euforia. Persino il cielo, alzando il naso all'insù per rimirare i nuovi grattacieli, mi è sembrato più azzurro. Forse è questione di DNA. Però Milano è fatta così, muta pelle di continuo. E chi la scopre si rende conto che è meno snob di quel che sembra. E con i suoi giardini segreti, gli angoli nascosti, è tutta da scoprire e con il sole è anche più bella e può stare a paragone con le grandi città.